Ci sono dei momenti in cui la scrittura è terapeutica. Spesso nel corso della mia vita è capitato che scrivere diventasse un modo per chiarire i sentimenti, per capire meglio la direzione da prendere, per analizzare l’accaduto. Ansia, paura, inquietudine, sono spesso state le protagoniste delle pagine dei diari che ho scritto in passato, perché la gioia non ha bisogno di essere dipanata, la gioia e l’amore sono sentimenti che ti accarezzano e pervadono, non vuoi liberartene. Gli stati d’animo negativi invece, scrivendone, è come se si srotolassero lentamente dal tuo animo, depositandosi in filamenti neri sulla pagina. Solo a quel punto puoi soffiarli via.
Scrivere è allora guarire, ma non è questo il luogo adatto, anche se un fondo di dolore e malinconia è inevitabilmente connesso al distacco da qualunque oggetto che in qualche modo sia stato partecipe della nostra vita.
Ci sono tantissimi temi che si intrecciano in quello che vorrei raccontare. Non posso fare a meno di pensare a mio padre in questo momento, che si trova in un letto d’ospedale, in un territorio liminale, tra la sua vita cancellata dalla malattia e il suo raggiungere le mie nonne, in un luogo altro, dove forse riacquisterà di nuovo la memoria perduta. A mio padre è legato il tema della casa. Una casa enorme, in cui dagli anni settanta ad oggi gli oggetti sono sempre e solo entrati, mai usciti, e si trovano ancora li, con i loro racconti segreti.
Non vivere più nella casa paterna, avere una nuova vita indipendente, creare una propria autonomia, sono passaggi importantissimi nella crescita di ognuno, ma c’è un ulteriore fase, il distacco.
A., mio marito e compagno da sempre, ha già vissuto una cosa simile dopo la morte dei suoi genitori, e la chiave di lettura che abbiamo trovato insieme è gioiosa. Entrambi amiamo molto il vintage, i mercatini dell’usato e dell’antiquariato, e spesso il luogo più divertente in cui cercare è stato la casa dei miei genitori.
Montagne di abiti e scarpe, dagli anni settanta ad oggi, stipate in scatole, buste e armadi invadono la soffitta, oggetti appartenuti ai miei nonni e alcuni anche ai miei bisnonni ingombrano la cantina.
Non possiamo tenere tutto. Nella nostra vita non c’è spazio per tenere ogni cosa. Gli oggetti sono simbolicamente emblemi del bagaglio che ognuno porta con sé dal passato.
Siamo consapevoli che un giorno anche la casa della mia famiglia andrà venduta, così come è successo a quella di A., per cui abbiamo iniziato a separarci dagli oggetti, uno dopo l’altro, non tanto per il valore economico spesso irrisorio delle singole vendite, quanto per dare valore all’oggetto stesso, una duplice nuova vita.
In primo luogo un’altra persona userà di nuovo l’oggetto e lo amerà ancora, in secondo luogo, il ricavato delle vendite ci piace trasformarlo in esperienze. Un viaggio, una cena magari stellata, un nuovo oggetto da amare.
Ci è spesso capitato di gironzolare tra le cianfrusaglie dei rigattieri, per renderci conto che quando le case vengono vendute, gli oggetti in esse contenute non interessano più nessuno. Spesso i nipoti preferiscono un servizio di piatti nuovo acquistato a poco prezzo piuttosto che recuperare il servizio della nonna, che finisce dal rigattiere. Questa triste sorte, non volevamo spettasse anche alle cose delle nostre famiglie. Dare ad ogni oggetto un valore e trasformarlo in esperienza, credo sia un atto di rispetto e valorizzazione. Non sono sempre uguali le emozioni che provo di fronte al distacco, a volte sono più dolorose che altre, ma sento che è un modo corretto di affrontare la questione. Ho iniziato ad usare Vinted da quattro anni ormai, e nonostante ho venduto circa trecento capi, la montagna di abiti non è ancora minimamente scalfita. Per gli oggetti stiamo usando due piattaforme, Catawiki e Subito, e ogni nuova vendita è una piccola avventura.
Vorrei condividere queste storie forse per dare ancora più valore alle cose, al loro potere. Ho avuto molte volte paura in vita mia, e ora la mia paura più grande, alla luce di quello che sta accadendo a mio padre, è dimenticare. Ritorna il potere terapeutico della scrittura, per alleviare un po’ il dolore.
Dedico queste pagine alle mie nonne e ai genitori di A. perché molti oggetti, molte “cose”, sono appartenuti loro e li rendono partecipi quotidianamente della nostra vita.