Cala di Forno, Magliano in Toscana
[Parte 1]
La luce calda del tramonto, con le sue sfumature magiche che trasformano tutto. Il sole che piano lambisce l’acqua e ci fissa con la sua forza prepotente e magnetica. Il muro caldo della terrazza in cui sedersi a contemplare. La sensazione di pace interiore, di quiete, armonia e bellezza sono l’essenza di Cala di Forno, uno dei luoghi più belli in cui ho avuto la fortuna di trascorrere del tempo.
Viaggiare in macchina con A. mi è sempre piaciuto. La musica ci accompagna e il sole del mattino regala un tepore piacevole. Parliamo molto di solito, è un momento di bilanci, di progetti, di considerazioni sulla vita che stiamo trascorrendo insieme. Spesso gli passo una mano tra i capelli dietra la nuca e gli massaggio dolcemente con le dita il collo. Lo faccio da sempre quando siamo in macchina, rilassa molto entrambi. Questo viaggio è un piccolo regalo inaspettato, un fine settimana da trascorrere insieme ad una coppia di amici che ci hanno invitato ed altre persone che non conosciamo ancora, un gruppo di architetti che tutti gli anni organizzano un viaggio speciale per stare insieme. R. Organizza viaggi, è il suo lavoro, ma in questo caso è una occasione particolare per una professoressa che stima molto, F.
Siamo un po’ degli intrusi in questo fine settimana, ma ci siamo lasciati sedurre dalla descrizione del luogo.
L’indicazione da seguire è un minuscolo cartello con la scritta Collecchio, dopo il quale girare a destra. La Toscana ha dei colori magnetici, intensi e quando ci si addentra nella Maremma si coglie il cambiamento. Diventa tutto più primitivo, pietroso e arso. Le colline morbide diventano pendici montuose che poi si gettano nel mare Tirreno. I campi coltivati sono derivati dalla bonifica di terreni paludosi in quella zona e sono percorsi da lunghissimi canali di raccolta delle acque, che formano una griglia regolare con i loro ponticelli esili di attraversamento. Ci addentriamo per un poco in questa distesa, al sole tiepido di Giugno, fino ad un cancello verde con un tastierino. Abbiamo il codice per entrare, girato dal nostro amico su Whatapp. Il cancello si apre e iniziamo a percorrere la strada privata davanti a noi, una stradina di ghiaia, in mezzo ai campi coltivati e uliveti. Passiamo davanti ad un casolare rosso, dall’aria maestosa e concreta. Iniziamo ad addentrarci nella boscaglia. Ci sono delle cataste di legna enormi addossate al ciglio della strada e in lontananza il rumore di tronchi tagliati e segatura. Apro il finestrino e l’aria profuma di macchia mediterranea, di rosmarino e resina.
Non abbiamo ancora capito bene dove stiamo andando. Ci fidiamo, anche se la strada è dissestata e piena di pietre, e sembra che attorno a noi non ci sia niente altro che alberi. Dopo l’ennesima curva però, vediamo il mare, come fosse un accadimento inaspettato e miracoloso. Le montagne si aprono lasciando libera una lingua di terra lambita dall’acqua. Due torri di avvistamento, una sul promontorio di destra e l’altra sul promontorio di sinistra proteggono la nostra discesa. Siamo quasi arrivati. C’è un lungo muro di pietra appena la strada diventa pianeggiante, fiancheggiato dai pini, dove possiamo lasciare l’auto. Il rumore delle cicale è assordante. E’ la colonna sonora delle nostre giornate a Cala di Forno. Davanti a noi prima di arrivare al mare, c’è una lunga distesa pianeggiante e incolta, con l’erba alta e cespugli spinosi. E’ una sorta di radura, con alcuni maestosi pini a lambirne il confine che proteggono una casetta rosa dall’aspetto fiabesco. C’è un piccolo cortile di terra battuta con un recinto il legno e poi la vecchia Dogana di Cala di Forno. E una sorta di viaggio a ritroso nel tempo.
Ripidi gradini in pietra scoscesi si sfilano cadenti da un possente muro di pietra con l’intonaco consumato. Anche qui c’è un piccolo cancello di legno da attraversare. La casa è alle nostra spalle, con il suo portale in pietra, la facciata intonacata di rosso e il pergolato che sormonta un grande tavolo in legno. Non vediamo ancora nessuno, ma c’è un grande pik-up blu parcheggiato davanti alla casa. E’ il marito della proprietaria, che ci accoglie per spiegarci come gestire le particolari dotazioni in questa settimana di permanenza. E’ sabato. Noi abbiamo detto che resteremo solo fino al giorno dopo, ma non sarà così. Siamo stati rapiti dalla bellezza di questo luogo e torneremo, come si torna a casa propria, per altri sei anni a seguire.
Nel frattempo iniziano ad arrivare anche gli altri. Siamo tutti molto euforici. E’ il luogo a trasmettere questa sensazione, perché vibra del suo essere nascosto agli sguardi indiscreti, dell’essere rimasto inalterato nel tempo, del suo essere selvaggio e meraviglioso. […]