Oggetti in viaggio

Lampadario Onda / Italia

Scritto da: Spazio Personale

Lampadario Onda, Claudio Salocchi per Lumenform, 1968

La camera da letto di quando ero bambina, aveva i soffitti alti, grandi porte finestrate in legno Douglas con un bel colore biondo, un elegante parquet a spina di pesce italiana. Da piccole mia mamma indossava delle pattine per camminarci e noi le vedevamo come un gioco divertente. Ho alcuni ricordi sereni e altri molti malinconici. Ricordo la luce filtrata dalle tende bianche e la  musicassetta dei Cure che nei primi anni dell’adolescenza si sostituiva a me nell’urlare al mondo l’inquietudine. Avevo una libreria che riordinavo in maniera maniacale, una scrivania con un cassetto pieno di piccoli tesori, un armadio enorme ed una porta in legno scuro con la quale chiudere fuori il mondo. Per alcuni anni ho condiviso la camera con mia sorella, fin quando lei ha deciso di trasferirsi nella camera di fianco e di dipingere con il carboncino nero durante la notte un cavallo a grandezza naturale su tutta la parete. Il cavallo è ancora li, maestoso e silente, con i suoi sogni di libertà. Il lampadario ci guardava ridere, ci ascoltava piangere, anche lui testimone muto delle vicende della nostra casa e della nostra famiglia.  Forse è più facile ricordare il dolore.

Quando frequentava le scuole elementari, mia sorella ebbe un grave incidente. Giocava in un parco pubblico insieme a delle amiche in uno di quei dondoli in metallo e legno che bilanciano il peso. Era in metallo rosso e blu, in un giardino con l’erba poco curata all’ombra del paese. Disattenzione, sfortuna, ingenuo entusiasmo. Il piede di mia sorella si è incastrato nella struttura di metallo in movimento che le ha spezzato la tibia e il perone. Sono venuti dei ragazzi che si trovavano nei paraggi ad avvisare i miei genitori. Avevano sentito le urla atroci di dolore di mia sorella e l’avevano soccorsa, caricandola nella loro auto bianca per portarla in Ospedale, ma prima erano passati a casa nostra per avvertire la famiglia. Un pomeriggio qualsiasi si era trasformato in una bolla sospesa in aria di dolore. Mia mamma era scoppiata in un pianto dirotto e convulso che non riusciva a placare. Si era buttata sul letto di mia sorella a piangere, forse per starle in quel modo vicina. Mia nonna, donna dolcissima, ma anche forte e lucida, ha provato a consolarla in un primo momento, poi le ha dato uno schiaffo. Uno schiaffo per farla smettere di piangere, per ritrovare un equilibrio emotivo, per dirle di essere forte e di guardare alla vita in modo adulto. Ho sempre pensato agli adulti come custodi di segreti indicibili, ma ora che sono adulta anche io ho capito che non avevano assolutamente alcuna risposta. La vita è un percorso lungo il quale le esperienze accrescono la consapevolezza, che continua ad aumentare, a definirsi e a cambiare con noi. Provo una sorta di tenerezza ora quando ripenso ai miei genitori e alla loro giovane età nell’affrontare le vicissitudini della nostra infanzia. Il lampadario Onda ha continuato ad osservarci. Guardava me mentre studiavo durante il liceo, guardava A. mentre si addormentava al sole caldo del pomeriggio prima di tornare al tirocinio da geometra, lo guardava andare via durante la notte quando mi riaccompagnava a casa il sabato sera e rimaneva a dormire per un po’ insieme a me. Ricordo con dolcezza il tepore del suo sonno, i riccioli bruni morbidi attorno al viso, i suoi jeans fuori moda e le magliette bianche. Il mio amore per lui è puro, quanto lo è il suo sguardo.  Se non fosse stato per il distacco emotivo che ha A. in relazione agli oggetti appartenuti alla mia famiglia, non avremmo mai iniziato questo percorso. Il suo pragmatismo mi induce a pensare che sia giusto non lasciarsi sopraffare dall’eco malinconico del passato e fare ordine nel presente. Abbiamo scoperto con delle ricerche on line, che il lampadario era della ditta Lumenform, attiva negli anni settanta e specializzata nella produzione di apparecchi di illuminazione moderni. Collaborava con diversi designer e la sua produzione era focalizzata su linee eleganti e design geometrici all’avanguardia.

Il nostro lampadario era stato disegnato dall’architetto Claudio Salocchi nel 1968, ed era un progetto molto innovativo che lo collocava a metà tra l’illuminotecnica e l’arte. Il progetto del lampadario consisteva in moduli cubici di vetro satinato con la parte superiore in alcuni elementi concava in altri convessa, in modo che il loro accostamento potesse produrre l’effetto di un’onda. La composizione dei moduli era libera, sia nella quantità che nella giustapposizione degli stessi. Noi avevamo sette elementi posizionati in modo che la continuità dell’onda in realtà fosse negata dalla rotazione dei vari cubi.  L’idea progettuale era molto forte e permetteva di realizzare sia delle composizioni a soffitto che a parete, anche di dimensioni considerevoli.

Ricordo che mio padre per cambiare le lampadine faceva una enorme fatica, e l’imboccatura circolare del plafone era tutta leggermente scheggiata da questi movimenti. A. ne ha smontata una, in modo da fare tutte le ricerche e le foto per poterla proporre su Catawiki.  A mio avviso il fatto di aver deciso di vendere un singolo elemento era penalizzante rispetto all’intera composizione, sicuramente più scenografica. L’asta è andata a buon fine raggiungendo il prezzo di riserva, ma non c’erano molte persone interessate. Quando si conclude una vendita, il sito fornisce le informazioni sull’acquirente. E’ stata una curiosa scoperta, apprendere che la lampada era stata acquistata da T. Salocchi, il figlio del designer, anche lui architetto. L’obbiettivo da perseguire è trasformare gli oggetti in esperienze e valorizzare la loro presenza nella nostra vita anche attraverso il distacco. In questo caso la nostra storia si è intrecciata con la storia della famiglia Salocchi. Preso contatto con l’acquirente, era chiaro che aveva interesse ad acquistare l’intera composizione. Abbiamo deciso di portare noi il lampadario, così avremmo avuto modo di conoscere di persona l’acquirente e trascorrere qualche giorno a Milano.

Il palazzo in cui i fratelli Salocchi hanno lo studio è in una zona centrale, in un elegante condominio con un atrio vetrato dalla luce calda e rassicurante. I dettagli della targa  sul portone d’ingresso denotano da subito la sapienza progettuale dell’autore. I due fratelli ci hanno accolto con gentilezza, e ci hanno inviato a prendere un caffè nel loro studio seduti ad un grande tavolo quadrato. A terra un elegante pavimento in marmo, alle pareti scaffali pieni di libri, disegni e fotografie. Ci hanno raccontato che stanno raccogliendo gli oggetti disegnati dal padre, per costituire un piccolo archivio privato e per inserirli all’interno delle loro progettazioni in modo da valorizzarne la memoria. Questa è la forza che possiedono gli oggetti, sono simulacri dei nostri sentimenti, permettono di dare ad essi forma e definizione. Spero che quando un giorno la casa sarà venduta, la tristezza sia contrastata dal ricordo di queste giornate Milanesi e dalla tenera idea di avere restituito il lampadario alla famiglia Salocchi.

La giornata è proseguita con la visita alla Fondazione Prada, una combinazione di edifici industriali riqualificati e nuove strutture, tra cui la famosa Torre dorata, progettata dallo studio OMA di Rem Koolhaas. Ci siamo poi affacciati in  Via Giuseppe Balzaretti dove si trova la sede di TOILETPAPER, un progetto artistico di Maurizio Cattelan e guidando nel traffico caotico di Porta Nuova,  abbiamo visto il Bosco Verticale di Stefano Boeri. L’atmosfera natalizia di Milano non mi è sembrata sincera. Un lusso ostentato e bramato, distante dalla realtà, ha oscurato la bellezza innegabile dei luoghi. Avevo amato Milano durante le giornate del FuoriSalone, con le visite a maestosi palazzi di solito inaccessibili. Il Natale mi è sembrato invece inconsistente e frivolo.  Forse, anche se vorrei negarlo, per la malinconia. Ci poteva essere un’altra storia, nella quale restavamo a vivere in quella casa. L’avremo potuta restaurare e avrei valorizzato gli oggetti e gli arredi, mescolandoli con cose nuove scelte da noi. Non riesco a disfarmi completamente di questo pensiero ed è una sorta di velo grigio che si adagia sul presente.  I miei sentimenti sono ambivalenti, in bilico tra l’euforia leggera che provocano le vendite e l’oppressione della perdita. Magari ci sarà un nuovo Lampadario Onda nella mia vita.