Tra le righe

Tra le righe

Senza cima. Storia di un cedro del libano.

[Parte1]

La casa in cui abitavamo da piccole è un contenitore di oggetti infinito. Mio padre credo l’abbia sempre considerata un problema. Penso che se avesse potuto scegliere autonomamente e non avesse avuto un senso del dovere così radicato, non so se ci sarebbe stata una casa di famiglia. Da giovane C. aveva deciso di non proseguire gli studi dopo le superiori per aiutare economicamente la famiglia e i fratelli, in particolare il più grande che aveva già intrapreso il percorso universitario. Voleva fare il pilota d’aereo. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, perché era un uomo intelligente, arguto, con un forte senso della giustizia e dell’educazione.

Amava essere in ordine, con la camicia perfettamente stirata. Amava i gilet sartoriali, che gli cuciva il padre. Amava il viso rasato e l’acqua di colonia.  Ho una visione molto nitida di quegli anni grazie ai racconti colorati di mia nonna P. e tanti cimeli a sussurrare dettagli di quel passato lontano.

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Tra le righe

Un Mondo interiore, fatto di oggetti

Ci sono dei momenti in cui la scrittura è terapeutica. Spesso nel corso della mia vita è capitato che scrivere diventasse un modo per chiarire i sentimenti, per capire meglio la direzione da prendere, per analizzare l’accaduto. Ansia, paura, inquietudine, sono spesso state le protagoniste delle pagine dei diari che ho scritto in passato, perché la gioia non ha bisogno di essere dipanata, la gioia e l’amore sono sentimenti che ti accarezzano e pervadono, non vuoi liberartene. Gli stati d’animo negativi invece, scrivendone, è come se si srotolassero lentamente dal tuo animo, depositandosi in filamenti neri sulla pagina. Solo a quel punto puoi soffiarli via.

Scrivere è allora guarire, ma non è questo il luogo adatto, anche se un fondo di dolore e malinconia è inevitabilmente connesso al distacco da qualunque oggetto che in qualche modo sia stato partecipe della nostra vita.

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