Lampadario Onda, Claudio Salocchi per Lumenform, 1968
La camera da letto di quando ero bambina, aveva i soffitti alti, grandi porte finestrate in legno Douglas con un bel colore biondo, un elegante parquet a spina di pesce italiana. Da piccole mia mamma indossava delle pattine per camminarci e noi le vedevamo come un gioco divertente. Ho alcuni ricordi sereni e altri molti malinconici. Ricordo la luce filtrata dalle tende bianche e la musicassetta dei Cure che nei primi anni dell’adolescenza si sostituiva a me nell’urlare al mondo l’inquietudine. Avevo una libreria che riordinavo in maniera maniacale, una scrivania con un cassetto pieno di piccoli tesori, un armadio enorme ed una porta in legno scuro con la quale chiudere fuori il mondo. Per alcuni anni ho condiviso la camera con mia sorella, fin quando lei ha deciso di trasferirsi nella camera di fianco e di dipingere con il carboncino nero durante la notte un cavallo a grandezza naturale su tutta la parete. Il cavallo è ancora li, maestoso e silente, con i suoi sogni di libertà. Il lampadario ci guardava ridere, ci ascoltava piangere, anche lui testimone muto delle vicende della nostra casa e della nostra famiglia. Forse è più facile ricordare il dolore.
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